
01. Piazza Della Libertà – Il Ballo
Raccogliere le memorie è importante, perché poi noi vecchi ce ne andremo.
Vorrei dire ai miei nipoti che i loro bisnonni si tenevano sempre per mano, e io porto con me questa immagine potente. Quando sei vecchio pensi alle radici. Le radici sono la poesia della vita.
«Chissà se le mie nonne sono mai scese al mare? Magari non hanno mai visto il mare.» Una volta si andava a Bordighera a fare le sabbiature, perché la gente soffriva di artrosi. Ognuno scavava una buca e ci si sdraiava dentro, poi si copriva di sabbia calda per sudare: quella era la cura.
La domenica pomeriggio andavamo a ballare il liscio da Bruno di Franse’, sotto un pergolato d’uva. Alle cinque la moglie diceva: «Adesso basta, che devo stirare», perché c’era una sola presa di corrente, dove noi attaccavamo il radione con i dischi per ballare. Arrivavano i ragazzi da Bordighera, era tutto un passa parola. Le ragazze di Vallebona erano famose perché erano bravissime ballerine, e i giovanotti venivano per farle ballare.
Ricordo che si beveva marsala all’uovo — a me non piaceva, ma lo bevevo lo stesso. Nel ballo in piazza non davano alcolici, solo bibite.
Da Franse’ ho conosciuto mio marito: arrivava da Bordighera e la prima volta mi ha fatto chiedere un ballo dal suo amico perché era timido. Io avevo 16 anni, lui 19.
San Pietro era la festa grande del paese: il ballo con l’orchestra occupava tutta piazza della Libertà. Per l’occasione tornavano anche gli abitanti che erano andati a lavorare in Francia. Mettevano la pista di legno con il tendone. Con la corriera portavano le barre di ghiaccio dentro ai cestoni di legno con tutte le bibite, e noi bambini stavamo sempre lì intorno. Ci picchiavamo per prendere i tappini delle bibite per giocare. Rubavamo i pezzi di ghiaccio da succhiare come gelati, e ci sembravano buonissimi.
Noi ragazze correvamo nei caruggi con dei tacchi così alti che non so come facevamo. Al ballo, le mamme stavano di guardia anche quando avevamo 16 anni: ci controllavano sempre.
A Vallebona c’erano due sarte che facevano i vestiti per andare al ballo. Si usava molto il godet, un modello francese fatto tutto di pieghe. Per noi la festa iniziava mesi prima, quando si cominciava a pensare al vestito, a comprare la stoffa. Così la festa era tanto vissuta. Si viveva un tempo più lento e lungo, aspettando il ballo con grande emozione.
Da ragazzi, dopo mangiato, andavamo subito in piazza a giocare a pallone elastico. Facevamo le gare di pallapugno, e una volta abbiamo vinto il primo premio a Camporosso.
Io correvo in bicicletta: a 16 anni facevo le gare. La mia prima corsa, la Ventimiglia–Castelvittorio, l’ho vinta nel ’46. Poi sono passato in categoria superiore e sono diventato dilettante. Allora si gareggiava con i tubolari appesi alle spalle, e quando si bucava bisognava fermarsi e cambiarli da soli, senza assistenza. Una volta ho bucato, ho cambiato la gomma e sono arrivato quarto. Era arrivato primo De Filippi, che poi ha vinto anche il Giro d’Italia.
Mi è dispiaciuto tanto, ma ho dovuto smettere: non c’erano le possibilità economiche per allenarsi tutti i giorni. Si doveva lavorare, e i sogni e le passioni finivano. Una volta era così.
La mia vita sarebbe stata diversa, ma purtroppo la mia famiglia non poteva. Però ero bravo a pedalare, e mi piaceva quella fatica lì. Anche a calcio ero bravo: ho giocato nella Sanremese, ma mi rimborsavano solo il viaggio del treno, e non mi davano altro. Non potevo continuare. Mio padre aveva bisogno di me in campagna.