02. Piazza Marconi – Le Tradizioni

Vallebona, una volta, era un paese molto vissuto. Le tradizioni si sono mantenute più che altrove.
Le famiglie erano legate da un forte spirito comunitario, ma adesso non è più così. Si sono perse le tradizioni che condividevamo e che ci facevano sentire uniti.

Era bellissimo: cantavamo tutti, ragazzini e anziani, senza sentire la differenza generazionale. C’era una confraternita importante.

La tradizione del fuoco era anche una scusa per stare insieme, vecchi e giovani. Si suonava intorno al fuoco, ci si radunava, e gli anziani raccontavano la vita.
La vita comunitaria era molto sentita. Era bello ascoltare i vecchi.
Per noi ragazzini, i vecchi erano la televisione, con i loro racconti e le loro storie. Li ascoltavamo a bocca aperta e facevamo a gara per portare loro il tabacco quando chiedevano. C’era un grande rispetto. Non era immaginabile fare un dispetto a un anziano: guai!

Il fuoco univa. Si vedevano giovanotti prendere una pietra, sedersi in cerchio, anche quelli che prima non si fermavano mai. Il fuoco era un invito a cui non si poteva dire di no.

La Befana è nata proprio in una serata così. Eravamo davanti al foegu du Bambin, si scherzava, si rideva, ed è venuta l’idea: inchiodare quattro tavole, vestirle, metterci una parrucca… ed ecco fatta la Befana. L’abbiamo portata in giro per il paese e poi bruciata nel fuoco. Da allora è diventata una tradizione che ancora resiste.

C’era l’abitudine della veglia: si stava in piazza un’oretta — ma anche di più — e si chiacchierava. Era bello, perché si stava tutti insieme. Poi è arrivata la televisione, e la veglia è finita. Abbiamo smesso di uscire di casa.

Da ragazzi andavamo a ballare a Bordighera. Al ritorno, verso le undici, ci aspettavamo tutti in piazza e non si andava a dormire finché non era arrivato anche l’ultimo, perché ognuno aveva da raccontare la sua avventura.

Si cantava sotto casa degli sposi, quando tornavano dal viaggio di nozze. Loro uscivano a festeggiare con bottiglie di vino, dolci… e se non uscivano, si tornava tre o quattro volte.
Per due vedovi che si risposavano, si faceva il ciaravügliu: con secchi e bidoni facevamo un gran casino che continuava finché non uscivano. Quante risate, che divertimento.

Anche la notte brava era una festa stupenda, nata dai canti agli sposi. Arrivavano migliaia di persone, si chiudevano le porte del paese.

Alle feste delle chiesette in campagna — San Bernardo, San Bastia’, Madona du Carmu, Madona da Neve — partecipava tutto il paese. Si arrivava coi muli carichi di cibo e bevande, c’era la banda, si mangiava tutti insieme. Era una vera festa.

Una volta si batteva a cria: un uomo anziano passava nel paese, dava tre colpi di tromba e gridava “Avertu!”. Era un banditore, e nel periodo della raccolta dei fiori d’arancio o delle olive annunciava i prezzi offerti dai vari acquirenti. Così si sapeva a chi vendere, chi pagava di più.

Il grande valore della comunità era lo stare insieme.
Adesso c’è più solitudine. Siamo tutti un po’ più soli. Ci abbracciavamo di più. Anche gli abbracci sono importanti. E adesso mancano.

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